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ORLANDO ACCETTA

SCRITTORE, POETA E GIORNALISTA

 



Breve storia di Pizzo e del suo Castello

(Raccontata dal professor Domenico Curatolo)

di Orlando Accetta

Premessa del redattore

La presente relazione è stata svolta dal Professor Domenico Curatolo il 30 novembre 1998 in occasione di un convegno che ha avuto luogo nei locali del Castello Murat e che noi abbiamo registrato dalla sua viva voce per poi sbobinarla pazientemente. Ora, ritenendo che sia giusto portarla a conoscenza di un più vasto pubblico di estimatori del personaggio e della storia locale, la pubblichiamo nella sua interezza e senza apportare alcuna modifica sostanziale, comprese le note a margine esposte sempre dallo stesso relatore.

La relazione di Domenico Curatolo

Domenico Curatolo

«Nella prima metà del 1300, Pizzo era un piccolo villaggio di umili pescatori, arroccato attorno ad un monastero basiliano che sorgeva nel luogo dove oggi è ubicato l'edificio delle scuole elementari e le zone a esso contigue, prospicienti l'odierna piazza della Repubblica. L'esistenza di questo monastero è confermata dal "Breve" del pontefice Onorio III "Pro reformatione monasterarum Ordinis Sancti Basili", datato in Laterano il giorno 10 maggio 1221. Il pontefice, preoccupato della decadenza allora in atto nei numerosi monasteri basiliani, invitava il vescovo di Crotone e l'Abate di Grottaferrata (Roma) a visitare quelli esistenti in Terra di Lavoro, in Puglia e in Calabria. Nell'elenco dei numerosi monasteri ubicati in Calabria c'era quello intitolato a San Pancrazio di Pizzo. Il luogo dove sorgeva il piccolo villaggio di Pizzo, sebbene privilegiato dalla natura per le bellezze profuse a piene mani, ricco di limpide acque, di rigogliosa vegetazione e bagnato da un pescosissimo mare, era purtroppo funestato dalle scorrerie piratesche che, specie nelle belle stagioni, continuamente vessavano le povere popolazioni.

Nella seconda metà del 1300, i pirati, sempre più intraprendenti, si erano stabilmente annidati nelle grotte naturali del piccolo seno della "Seggiòla" (Trattasi di una piccola insenatura della spiaggia di Pizzo. Pare addirittura che Cicerone quando fu esiliato e residente nella villa di Sicca a Vibo venisse, almeno secondo una sua epistola ad Attico, nella "Seggiòla" per studiare, per passare il tempo disponibile) e in quello della riviera nord di Pizzo, da dove piombavano improvvisamente sulle navi di passaggio, depredandole con feroci e sanguinosi arrembaggi. Gli Angioini, regnando Giovanna I, per fronteggiare la molesta situazione creatasi, stabilirono di fortificare il villaggio di Pizzo per snidare gli intrusi dai loro covi, proteggere i traffici marittimi e difendere le popolazioni dalle continue aggressioni dei pirati.

La Seggiòla

Era signore di Pizzo il suo primo feudatario, Enrico Sanseverino, Conte di Mileto, quando, intorno al 1380 il piccolo villaggio fu dotato di robuste mura di cinta e fossato, fu costruita una robusta torre cilindrica che in seguito venne incorporata al castello aragonese e due bastioni ubicati nella rupe prospiciente la "Seggiola" (passando attraverso via Salomone - fossato - si vedono ancora le mura di cinta di questa fortificazione). Pizzo, situata su un piccolo promontorio, godeva di una posizione strategica favorevole alla difesa, essendo protetta da tre lati dalla roccia che, dall'altezza di oltre 50 metri, dirupava in massima parte direttamente sul mare. La costruzione delle mura di cinta e del fossato chiusero ermeticamente il piccolo villaggio, rendendolo, per quei tempi, difficilmente espugnabile. L'accesso al centro abitato era situato lungo le mura di cinta e consisteva in un unico ponte levatoio strutturato in modo da formare un triplice ordine di massicce porte, situate dove oggi è ubicata la Cassa di Risparmio. Infatti, il rione che sorge in prossimità del ponte levatoio fu detto ed è detto ancora oggi "Incatenata", probabilmente per le robuste catene degli argani che azionavano il ponte. Le popolazioni contadine sparse nei dintorni e quelle dei tre "Casali" esistenti nelle vicinanze di Pizzo, per sottrarsi alla continua minaccia delle incursioni piratesche, ben presto confluirono all'interno del villaggio fortificato, sistemandosi stabilmente.

I tre casali erano: Mànduci, che era ubicato nei pressi dell'odierna contrada Sant'Antonio; San Donato, che era situato in contrada "Mazzotta", dove c'è la salita per la strada dei francesi; Braccio ('u Bracciu), che sorgeva in quel luogo che ancora oggi è detto il "Casale" ('u Casali).La fortificazione del villaggio di Pizzo diede tranquillità ai suoi abitanti e ai contadini sparsi nei campi, che ebbero modo, nei momenti di pericolo, di rifugiarsi dentro le mura e difendersi. Il problema non poteva però considerarsi completamente risolto, in quanto i saraceni continuavano impunemente a scorrazzare sul nostro mare, depredando le navi e compiendo continue e sanguinose scorrerie nei martoriati centri abitati rivieraschi. La situazione, oramai diventata insopportabile, indusse gli Aragonesi a porre i dovuti ripari con la fortificazione dei centri abitati marittimi più esposti alle scorrerie.

Infatti, cent'anni dopo il villaggio di Pizzo fu incluso nel programma disposto da Ferdinando I d'Aragona, con l'ordinanza del 12 novembre 1480, che disponeva la costruzione di numerosi castelli per combattere le tracotanti scorrerie saracene. Gli oneri derivanti per l'esecuzione delle opere di fortificazione programmate furono addossati alle misere popolazioni, le quali vennero gravate di nuovi balzelli e, alcune, obbligate alla prestazione gratuita sia dei lavori che dell'approvvigionamento dei materiali di costruzione, da eseguire con i propri mezzi di trasporto. Con questa fortificazione furono costruite anche una serie di torri costiere (se voi andate in autostrada trovate ogni tanto una torre costruita appunto per combattere questi saraceni e la più importante per Pizzo era quella della "Rocchetta" nei pressi di Briatico; un'altra piccola torre era situata nella strada che porta al cementificio, etc.).

   

                   Ferdinando I d’Aragona                             La Rocchetta di Briatico

Curioso il modo come erano curate e sorvegliate dai soldati, e tra di loro comunicavano come facevano gli indiani. Appena la torre della "Rocchetta" vedeva il passaggio di una nave sospetta, di giorno incendiava della paglia umida, facendo fumo, di notte addirittura con il fuoco. Le varie torri si trasmettevano questi segnali convenzionali che loro conoscevano. In ogni torre, come anche a Pizzo, c'erano degli uomini di guardia, c'era un corpo di soldati con un ufficiale, e c'erano i "Cavallari" (se osservate il frontespizio del castello, a fianco del portone c'è prima una finestrella quadrata, poi c'è una finestrella un po' caratteristica a forma di campana): «Allarmi! Allarmi! Li turchi su' arrivàti alla marina». Quando avveniva l'allarme, partivano i "Cavallari" e giravano per avvertire le popolazioni situate fuori dalle mura. Gli abitanti della baronia di Rocca Angitola, stremati dalle gratuite fatiche per la costruzione del castello di Pizzo, essendo ormai i lavori ultimati, il 25 aprile del 1492 inviarono al re una supplica in cui si legge: "Acteso in queste guerre passate per la majore parte perdero lo bestiame et per la loro povertà non se ne hanno potuto recuperare, inmmodochè in tucta dicta baronia (di Rocca Angitola) non se abbastano ad cinquanta parichie de boj et quilli so comsumati per le continue fabriche che so stati appressati allo marrame (materiale) de lo castello de lo piczo che per la majore parte in esso so consumati et se consumano etiam le loro persone...acteso dicto castello e complito non siano vexati più, ne cum boj ne cum persone andare in dicto marrame non se ne hanno possuto fare victuagli, et da quattro anni in qua pateno la fame". Altra supplica venne inoltrata al re dagli abitanti di Seminara che erano stati tartassati al pagamento di tre carlini l'anno per ogni fuoco per la edificazione dei castelli, tra i quali quello di Pizzo. L'implorazione era datata 7 giugno 1492 e diceva: "... se digne fareli gratia che non habiano da pagare più tre carlini per foco (fuoco = famiglia composta da 5 persone) che erano taxati contribuire per le fabriche et tanto più che fabrica de lo piczo è già quasi alfine dal quale pagamento la Majestà sua ne ha facta gratia ad altre terre como taberna ed lo bianco". Gli abitanti di Seminara, in sostanza, chiedevano la dispensa dal pagamento di questi 3 carlini l'anno per ogni fuoco (famiglia). Il carlino, moneta d'oro fatta coniare a Napoli da Carlo d'Angiò nel 1278, aveva il valore di 14 carlini d'argento, per cui esistevano due tipi di carlini, uno d'oro e l'altro d'argento, però fatti con lo stesso conio.

Resti del Castello di Rocca Angitola

Rocca Angitola, secondo la leggenda è l'antica Crissa fondata da Panopèo, distrutta dai saraceni nell'800 e poi fortificata nel 925 dal generale bizantino Niceforo Foca. Ha avuto una lunga vita, ma attualmente è una città morta. La sua decadenza ebbe inizio con il terremoto del 28.3.1638, quando gran parte dei rocchitani si rifugiarono e s’insediarono stabilmente a Pizzo, accolti dai pizzitani con grande senso dell'ospitalità, anche se lo spazio era ridotto in conseguenza del fatto che allora il villaggio era circoscritto da mura. A Rocca Angitola c'erano due congregazioni religione, di cui una era intitolata alle "Anime Sante del Purgatorio", l'altra al "Crocifisso", e tra di loro non correva buon sangue. Nel 1651, un certo Antonino Melana, procuratore, ricostruì e riaprì al culto a Pizzo la chiesa delle "Anime Sante del Purgatorio" già esistente a Rocca Angitola, oggi detta dei "Morti" o "Chiesa della Madonna delle Grazie".

Nel 1659 ancora un altro terremoto, verificatosi nel mese di novembre, distrusse completamente Rocca Angitola e i profughi in massima parte si trasferirono a Pizzo, dove però non c'era più posto entro le mura. Questi nuovi profughi volevano costruire dove oggi è ubicata Piazza della Repubblica, vicino al monastero dei basiliani, luogo che allora veniva chiamato "Chiànu di Sambrangàziu" (piano, pianoro di San Pancrazio), ma non fu consentito, perché il giorno dedicato alla festa di San Pancrazio, di rito greco-ortodosso, si svolgeva una grande fiera nel corso della quale, per come scrive Raffaello Molè, veniva data la voce della seta, cioè veniva stabilito il prezzo della seta. Però fu loro permesso di costruire "subbr'ô chjànu di Sambrangàziu", tanto che ancora oggi, a distanza di quattro secoli, la Via Tommaso Bardari è chiamata "subbr'ô chjànu", mentre la specificazione "... di Sambrangàziu" è caduta in disuso. Dalle due suppliche si evince che i lavori di costruzione del castello di Pizzo durarono quattro anni, ebbero inizio cioè nel 1488 e si conclusero nel 1492.

Via Bardari

Alla torre mastra, fatta erigere dagli Angioini, nel 1380 furono aggiunti un robusto corpo a base rettangolare, una torretta troncoconica situata a levante di fronte alla piazza e una torretta di guardia che aveva lo scopo di agevolare la vigilanza del tratto di spiaggia sottostante la rupe. Quest’ultima torretta, posta sulla rupe in prossimità del belvedere dello "Spunduni", a circa 20 metri dalle mura perimetrali del castello, fu demolita per consentire le opere di consolidamento del tratto di Via Marcello Salomone posto nelle vicinanze del castello. Il castello era allora isolato dalla cittadina, situato fuori dalle mura di cinta adiacente al fossato che lo fiancheggiava da tre lati, mentre il lato posto a Sud era protetto dalla rupe a strapiombo sulla marina. Era munito di ponte levatoio che alzato sbarrava il cortile. Le strutture interne del castello subirono numerose modifiche, alcune delle quali trasformarono completamente l'assetto primitivo in ordine alle funzioni cui erano destinate all'origine. Col restauro eseguito a cura dell'Intendenza delle Antichità e Belle Arti di Reggio Calabria nel 1945, le stanze nelle quali si riunì la Commissione Militare per pronunciare l'iniqua sentenza di morte dell'eroico ex re Gioacchino Murat, furono inspiegabilmente demolite. Successive arbitrarie costruzioni modificarono il posto dove la fucilazione dell'ex re ebbe luogo.

Conclusi i lavori di costruzione, il castello fu dotato di artiglieria, di archibugi e di un nutrito presidio di soldati al comando di un ufficiale che svolgevano i servizi di guardia anche di notte. Il castello fu da sempre adibito a carcere per criminali comuni e a prigione, per personaggi celebri. Tra i primi si notano tale Marcantonio Capitò, bandito molto violento, Francesco Moscato detto Bizzarro e un nutrito gruppo di delinquenti comuni. Tra i personaggi celebri si ricordano: Tommaso  Campanella, filosofo e poeta di Stilo; Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro; il generale Naselli, dell'esercito sanfedista del cardinale Ruffo; Pasquale Galluppi, filosofo di Tropea; Vincenzo Ammirà, poeta dialettale di Vibo Valentia; tutti i componenti la spedizione dell'ex re di Napoli Gioacchino Murat, che fu condannato a morte e fucilato nel castello di Pizzo il 13 ottobre 1815. Altri prigionieri celebri furono il colonnello Raffaele Piccoli e Ricciotti Garibaldi, figlio di Anita e dell'Eroe dei Due Mondi, imprigionati per i moti di Filadelfia del 1870.

Durante la prigionia di Ricciotti Garibaldi e del colonnello Raffaele Piccoli, il sindaco del tempo e il consiglio comunale al completo, con propria deliberazione decisero di costituirsi prigionieri nel carcere del castello per provvedere affinché i due illustri prigionieri fossero ben trattati. Ricciotti Garibaldi, appena liberato, con una lettera ringraziava l'amministrazione comunale dicendo che quei pranzi non li avrebbe dimenticati mai.

Ricciotti Garibaldi

Nel 1806, durante il periodo dell'occupazione francese, essendo il vecchio forte malridotto (era lì dove c'è il ponte alla Marina, praticamente dove c'è la baracca di "Baccalà"), fu avvertita la necessità di aggiungere alle fortificazioni del castello una batteria di cannoni a mare per poter colpire al largo in difesa della spiaggia. Fu subito costruita una piattaforma cilindrica detta "Forte del Monacello", italianizzando il termine dialettale "Monacèju" (piccolo monaco), antico folletto cui i pizzitani credevano risiedesse in quel luogo. Alcuni antichi autori, tra i quali il Genovesi, nel suo libro "Calabria Antica", asserivano che molti castelli calabresi erano tra di loro comunicanti per mezzo di cunicoli sotterranei che davano la possibilità di fuga e di reciproco aiuto in caso di bisogno. La tradizione popolare pizzitana e lo stesso Genovesi vogliono che il castello di Pizzo si congiungesse con i sotterranei dei castelli di Vibona, Monteleone e Rocca Angitola.

Rotonda o Forte del Monacello

Il castello di Pizzo ha i suoi sotterranei, uno di essi, ben visibile, collega il castello con la spiaggia del "Monacello"; un breve sotterraneo collegava il castello con la distrutta torretta d'avvistamento che era posta nei pressi del belvedere dello "Spunduni". Il sotterraneo più importante parte dalla torre Angioina, detta torre mastra, diretto fuori dal castello verso la piazza della Repubblica. Questo sotterraneo venne aperto alla popolazione per essere adibito a rifugio antiaereo, in prossimità dello scoppio della seconda guerra mondiale. Per evitare pericoli fu chiuso con muratura nel punto in cui il sotterraneo fuoriusciva dal perimetro esterno del castello, furono praticate due uscite di sicurezza, ma non fu mai adoperato come rifugio antiaereo perché i pizzitani preferirono usare durante la guerra le gallerie ferroviarie dello Stato e quelle delle ferrovie Calabro-Lucane.Ultimamente, durante i lavori della metanizzazione e della pavimentazione in piazza della Repubblica, furono scoperti diversi cunicoli sotterranei, uno dei quali, proprio di fronte l'agenzia di viaggi Donato, proveniva dal castello e biforcava con una parte in direzione di via delle Grazie e con un'altra verso Via Tommaso Bardari.

I pizzitani non sempre si comportarono docilmente nei riguardi dei dominatori. Nel 1647, appena avuta notizia della rivolta di Masaniello, tutta la Calabria diede segni di avversione alla dominazione spagnola. Pizzo si sollevò e scacciò il governatore. Nel 1736 per la seconda volta Pizzo si scrollò il giogo degli oppressori, infatti, il giorno 3 del mese di luglio presso la fontana di Scimè, in contrada "Màngari" (nella proprietà Caridà, dove c'è il doppio binario), venne ucciso il governatore del duca dell'Infantado Don Pedro Lucas Ramirez per mano di due pizzitani (Chi sono?, ndr) che in seguito ebbero molto a soffrire per quell’imputazione.

Proclamata la Repubblica Partenopea nel 1798, Pizzo fu tra le prime città della Calabria a innalzare l'albero della libertà per opera di Benedetto Musolino, zio dell'altro Benedetto Musolino deputato. L'anno successivo, 1799, una colonna di sanfedisti, condotta dal cardinale Ruffo, si abbandonò al saccheggio di Pizzo prendendo di mira il Palazzo Musolino che fu svaligiato e dato alle fiamme. Benedetto Musolino, zio di Benedetto Musolino deputato, venne crivellato di pugnalate e gettato da una finestra riuscì a salvarsi per le cure prodigate dai propri familiari.

Nel 1848, durante le vicende del famoso Campo di Filadelfia, sedici pizzitani, fra i quali figurano Paolo Vacatello, Basilio Mele, Fortunato Valotta, Pasquale Musolino e Sebastiano Rosi, impadronitisi di una barca della tonnara, detta della Praia, raggiunsero il porto di Santa Venere e presero all'arrembaggio una feluca borbonica carica di esplosivo riuscendo a caricare la loro barca di quanta polvere potesse contenere, trasportarla presso la foce del fiume Angitola e inviarla al campo di Filadelfia che ne era quasi privo. Un battaglione borbonico, sempre nel 1848, riuscì a entrare a Filadelfia, dove commise molte atrocità. Passando a Pizzo, il giorno 29 giugno mise a sacco la cittadina che aveva accolto il generale Ferdinando Nunziante (nipote di Vito Nunziante, essendo figlio di suo fratello Antonio) con manifestazioni di simpatia e come dichiarata città fedelissima dalla stessa dinastia dei Borboni non si attendeva certo simili efferatezze. Nel sacco perirono molti cittadini e vennero devastati parecchi negozi. I soldati borbonici, dopo avere sfondato a cannonate il portone del Palazzo Musolino, invasero e devastarono gli appartamenti, uccisero barbaramente Domenico e Saverio Musolino rispettivamente padre e fratello del deputato Benedetto Musolino.

Palazzo Musolino

Tralascio le vicende storiche legate alla vita, alla carriera militare alla cattura e fucilazione dell'ex re di Napoli Gioacchino Murat, argomento che sarà trattato dall'amico prof. Franco Cortese prossimamente. Abbiamo dato molto succintamente le notizie più rilevanti sull’origine e sulla storia di Pizzo. Certamente non abbiamo gli annali storici di Roma, nessun paragone può reggere tra le maestose dimensioni di un elefante e quelle di un pulcino, per giunta mingherlino. Siamo però certi che ogni figlio di questa nostra Pizzo, gemma incastonata tra i tesori dei tramonti più belli del mondo è orgoglioso di essere pizzitano. Grazie.

Re Gioacchino Murat

Note a margine

*Nel 1200 i francesi costruirono la cosiddetta “Strada dei Francesi", che sale da contrada Mazzotta e raggiunge l'antica Via Popilia.

*Ilario Tranquillo parla di due chiesette di Piedigrotta. La vecchia che è la "Madonnèja", e la nuova che è la chiesetta che è nei pressi della stazione della ferrovia dello Stato.

*Nel 1970 abbiamo fatto delle ricerche e sotto la chiesetta della stazione abbiamo trovato delle torri di epoca romana.

*François Lenormat, venuto a Pizzo nel 1809, parla di una lapide funeraria che si trovava nella chiesa di San Giovanni (oggi dell'Immacolata), mentre nella località "Parrera" si trovavano delle tombe di epoca romana.

*Anche salendo verso Vibo-Pizzo pare ci fosse qualche insediamento romano, in quanto si sarebbero trovate 3 o 4 monete romane.

 

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 Giuseppe Pagnotta

 

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